REPORT TAVOLI – GC.SARDEGNA 15/16/17 aprile Settimo San Pietro (Cagliari)
Tavolo autonomia dei territori
relatore: Pippo
I partecipanti al tavolo con un giro di presentazioni hanno già dato da intendere che sarebbe stato un tavolo molto eterogeneo insieme ai coordinamenti No basi erano presenti anche altri comitati che,in Sardegna, lottavano contro devastazioni ambientali o accaparramenti di terre dovuti o a ragioni meramente economiche o a ragioni simili ma mascherate da green economy. Erano presenti fra gli altri anche varie reti territoriali di genuinoclandestino, che hanno riportato le lotte nelle quali gioco forza sono coinvolti semplicemente,ormai per garantire un dignità al proprio futuro e a quello dei loro figli/e, era presente anche il gruppo di eat the rich che, da poco, aveva concluso un giro in tutta quella parte del centro-ovest sardegna che pian piano veniva svenduta e violentata.
La questione che s’è affrontata per prima è stata quella di organizzare la discussione in modo che tutt* non perdessero di vista gli obiettivi del confronto e, garantendo lo scambio di esperienze,comunque si ragionasse collettivamente e creativamente su nuove modalità e pratiche da attuare nella quotidianità: da un lato contro queste devastazioni/usurpazioni dall’altro per proporre un’alternativa che spostasse gli equilibri verso una condizione migliore oltre che autonoma.
Le esperienze dell’amiata e di terni hanno lanciato un segnale ai sardi aiutando a contestualizzare come laSardegna non sia l’unico laboratorio di sperimentazione di pratiche che contrastano la vita di molti a favore di mire capitaliste. L’ascolto delle esperienze nobasi ha dato il polso della situazione,i livelli di conflitto e le mobilitazioni seppur ben organizzate rischiano di sembrare poca cosa o comunque azioni poco inclusive,in un territorio nel quale, si utilizzano ammortizzatori sociali per far accettare di buon grado,uno status quo che parla di alti livelli di inquinamento, perdita di terreni agricoli e non a favore del grande carrozzone dei guerrafondai.
Idee che sono venute in questa prima fase di confronto: supporto della rete portando in giro peri mercati contadini un chiaro schieramento contro la guerra ed invece sul territorio sardo sperimentare nuove modalità per manifestare dissenso e magari passare per la convivialità e il cibo per fare riflettere su un percorso complesso ma non rinviabile che è quello dell’antimilitarismo e l’opposizione ale servitù militari.
Le questioni che è nata forte in quella come in altre lotte territoriali dentro e fuori la sardegna sono le seguenti:
– rendere consapevoli le persone dei pericoli derivanti da queste situazioni col passare degli anni
– lavorare culturalmente per uscire dal meccanismo della richiesta o dell’attesa costante di contentini da parte dello stato
– fornire alternative credibili a chi vive in questi territori e magari favorendo percorsi di auto organizzazione che interessassero più da vicino le economie e le vite delle persone
Il caso sardo riprodotto con più costanza soprattutto al sud o nelle città d’acciaieria porta ad una lotta fra poveri in cui decidere fra salute e lavoro, fra presente e futuro, fra vita o morte come se fosse un gioco che qualcuno segue dall’alto dettando i tempi. La chiara esigenza di tutt* è stata quella di non smettere di lottare ma al contempo concentrare le energie nel costruire alternative sostenibili per le persone, creare le condizioni in cui ci si trovi liberi di decidere consapevolmente qual è il futuro di un territorio in base alle esigenze di chi lo abita ma anche nel rispetto di donne e uomini, animali e natura. Questo porta al nodo della costruzione di comunità territoriali che partano dal fare nuova cultura ed educazione, nuovi percorsi di scambio,nuovi percorsi di compenetrazione delle vite.
Spero che qualcuno integri…
personalmente il dato che ho colto è stata l’esigenze e la voglia di trovare soluzioni creative da sperimentare, l’unione delle lotte, la presa di consapevolezza che ogni territorio è sotto attacco e senza uno scambi o di idee e pratiche si rischia di essere meno pronti a reagire a queste situazioni che possano attaccare oggi uno oggi un’altro territorio.
Tavolo “Mercati e *Prezzi”
relatrice: Cecia
MERCATI
mercato come strumento e come pratica per portare avanti l’azione politica.
se l’obiettivo è la costruzione di comunità gli strumenti per raggiungerlo possono anche essere altri.
importante è la costruzione di una filiera e saperne comunicare la qualità.
abbiamo iniziato la discussione considerando criticità legate alle modalità del mercato, i problemi sorgono quando diventano fiere dove non si riesce a distinguere gli obiettivi, piazze troppo frikkettone, cani in giro, con conseguente allontanamento dei contadini ,e dei coproduttori.
mentre viene identificata la frequenza settimanale come reale alternativa al supermercato, questa potrebbe
essere una soluzione. altro elemento per evitare che diventino delle fiere dell’artigianato e basta è di evitare i trasformatori puri, a Campi Aperti hanno incentivato la collaborazione attiva oltre lo scambio monetario per chi trasforma, es. raccogliere la
frutta per le marmellate, partecipare alla produzione condividendo le spese e i rischi oltre al lavoro.
PREZZI
I temi legati al prezzo sono stati così identificati:
-concorrenza
-lavoro spesso come autosfruttamento
-costruzione del prezzo
-saperlo comunicare
ad Oltre Mercato si parte dall’idea che un’ora di vita ha lo stesso valore, qualsiasi sia il lavoro svolto, quindi lo
stesso costo, legato all’idea di una rete che pratica lo scambio di
servizi oltre che di prodotti.
Prezzi devono essere popolari, si cerca di minimazzare lo spreco, sarebbe auspicabile una programmazione in base alle esigenze, lavorare per esempio con gas e csa.
in Campi Aperti uno dei criteri per definire il prezzo è di vendere i prodotti ad un prezzo a cui chi vende può permettersi di comprare quel prodotto.
I prezzi devono stare in un certo range, annualmente produttori simili si incontrano per stabilire il prezzo dei prodotti.
Uscire dal mercato e dal sistema capitalista significa anche non seguire le oscillazioni del mercato ma stabilire il prezzo in base alle ore di lavoro.
il mutuo aiuto può abbassare i prezzi, anche per i coproduttori che potrebbero accedere a cibo di qualità aiutando i produttori o raccogliendo le eccedenze.
Cercare di avere su ogni banco ,almeno un prodotto a basso costo ,anche di seconda scelta ,e non solo eccellenze alimentari.
Tavolo Scambio, mutuo aiuto, nodi:
equonomia per comunità resistenti
relatore: Tonino
Partecipanti : Eliana (Roma), Elena (Mondeggi), Tommaso-Xavier-Lia (Oltremercato-Pesaro), Cinzia (Django-Treviso), Sergiu (Germogliato-Torino), Elide (Piantagrano-Alghero), Nadia (RiMaflow-Milano), Gigi (RiMaflow-Milano), Gianfranco (GAS Nuoro), Alessia (Crocicchio-Roma), Valentina e Martina (Trento), Domenico (Campi Aperti-Bologna) Gabo (Mercantiniera-Parma), Nicola (Agraria Bologna), Stefano (EtR-Bologna), Betta (ArcaArtigiana- Bologna), Tonino (SFM-Milano)
Il tavolo si apre con una introduzione da parte di Tonino di Spazio Fuori Mercato di Milano sui temi di discussione del Tavolo “scambio-mutuo aiuto-nodi”. Si tratta del proseguimento di un percorso iniziato a ottobre 2014 a Milano, in una delle iniziative contro Expo, da un incontro tra Rimaflow e Genuino clandestino sul tema della distribuzione dei prodotti a partire dalle arance di Rosarno. La discussione è proseguita in uno dei Tavoli dell’incontro nazionale di GC di Vicenza (aprile 2015) e di Milano (novembre 2015). L’obiettivo era quello di trovare percorsi di costruzione di comunità e sistemi economici alternativi.
Nel frattempo, tra Sfruttazero di Bari, Terre di Palike in Sicilia, Mondeggi, Rosarno e altri, è partito un percorso di costruzione di una rete nazionale “Fuori mercato”. I motivi che hanno portato all’avvio di questa rete non vogliono rispondere solo alla necessità di distribuzione dei prodotti, ma ad obiettivi “politici”: ovvero di costruzione di una rete di mutuo appoggio tra nodi territoriali con l’intento di costruire filiere “altre”, non necessariamente chiuse. E’ un percorso di rete in cui si è iniziato a ragionare di forme di scambio alternative al mercato, di mercati contadini che diventano piazza comune, di gruppi di offerta (beni e servizi), di monete alternative, di cucine popolari che diventano anche spacci. In questo percorso la logistica e le modalità di trasporto dei prodotti sono solo uno dei temi affrontati.
Il dibattito del Tavolo inizia con un breve giro di presentazione e con alcune domande di chiarimento.
Innanzitutto si chiede, viste le tematiche espresse in premessa, in che rapporto si pone Fuori Mercato con le reti di economia solidale e i GAS che da molti anni ormai stanno lavorando sulle stesse tematiche.
Inoltre, vengono evidenziati alcuni rischi riguardo al sistema della logistica ipotizzato da Fuori Mercato. Da parte dei FM, nel corso del dibattito, emerge la consapevolezza delle criticità del percorso proposto: allontamento tra produttore e consumatore, difficoltà ad utilizzare la garanzia partecipata, allontanamento dalla componente contadina, abbandono del km zero (geografico) a favore di un km zero “politico”, difficoltà di rapporto tra città e campagna. Tuttavia si evidenzia come le criticità abbiano un peso diverso a seconda dei territori.
Alcuni esponenti di GAS (Nuoro e Roma) riportano la loro esperienza e in entrambi i casi, seppure con diverse modalità, l’intenzione è quella di allargare i circuiti e la partecipazione, cercando di essere più inclusivi possibile e permettendo quindi anche l’adesione di persone interessate solo al tema della sovranità alimentare, mentre un gruppo più ristretto svolge un ruolo più attivo.
Si esprime da parte di tutti la necessità di trovare modelli sperimentali, ma riproducibili, che permettano di costruire comunità il più possibile allargate e inclusive. Ad esempio, in un primo momento, si potrebbero includere persone o realtà che si avvicinano solo per rispondere a un loro bisogno economico immediato (es. chi si avvicina ai GAS solo per acquistare o i produttori che si avvicinano ai mercati di GC o alla rete FM solo per potere vendere/distribuire la propria merce), ma questi dovrebbero partecipare alle Assemblee della rete e prendere parte attiva al processo decisionale.
La strutturazione di relazioni economiche e di scambio allargate tra territori anche lontani, potrebbe permettere quindi il mutuo aiuto e sostegno delle realtà in maggiore difficoltà.
E’ proprio da questo espresso bisogno (prima da parte di Rosarno, poi da parte di altre realtà, non tutte aderenti a Genuino clandestino) che la RImaflow ha avviato il progetto Fuori Mercato a Milano. Ovvero per dare un immediato e concreto sostegno a chi ne ha fatto richiesta, viste le strutture a disposizione (grandi spazi per stoccare merci).
Gigi della Rimaflow ha sottolineato che il progetto della distribuzione dei prodotti non è la loro attività principale (che resta quella della fabbrica recuperata, sul modello di quelle argentine, orientata al riciclo e a sostenere laboratori artigianali e trasformazione prodotti), anzi al momento è un impegno aggiuntivo che non comporta nessun profitto. Quindi la motivazione non è economica ma politica, ovvero di condivisione dei principi e dei percorsi di Genuino clandestino e di offerta di sostegno a questa rete, per quello che una fabbrica (recuperata e autogestita) in una periferia di Milano può offrire a una rete di piccoli produttori. Inoltre, la logica conservativa che caratterizza molte fabbriche recuperate, può essere superata proprio grazie al contributo di GC, arrivando anche al totale cambio di destinazione d’uso. Importante è superare l’autosfruttamento e l’alienazione.
La distribuzione delle merci è quindi un servizio che si è pensato di mettere a disposizione (prima solo a Milano con le arance di Rosarno poi allargato anche ad altri prodotti su tutto il territorio nazionale) per potere permettere ad alcune realtà, che ne hanno fatto espressa richiesta, di rafforzarsi economicamente al fine di riuscire ad avviare sul proprio territorio percorsi di transizione di aree dedicate alla monocoltura verso il recupero di sovranità alimentare in forme sostenibili. Ad es. l’avvio della filiera del grano per Rosarno (con la conversione della coltivazione di una parte degli agrumeti in grano) o la creazione di orti (oggi tutti controllati dalla mafia) al posto della monocoltura di arance per Terre di Palike in Sicilia.
Da parte di alcuni (Marche) si è rimarcato più volte la necessità di sviluppare filiere locali, anche come stimolo verso la sovranità alimentare, partendo da quello che il territorio offre.
E’ stata poi più volte citata l’esperienza della Cooperativa integral catalana (CIC) come esempio di rete (detta “eco-rete”), che punta all’autosufficienza, in cui esistono nodi di vario livello (in quelli più grandi si può fare anche lo spaccio dei prodotti di quelli più piccoli), in cui gli scambi sono gestiti tramite una piattaforma informatica. Ma il punto centrale della decisione resta l’Assemblea, che garantisce la conoscenza diretta tra i partecipanti alla rete.
Viene riportato anche l’esempio di Brooklyn (16000 soci di una cooperativa mista, tra merci e lavoro ogni socio deve garantire almeno 2 ore e mezzo settimanale, circolano cibo e servizi) e di Sant Denis a Parigi (dove di produce e si scambia tutto ciò che serve a rispondere ai bisogni delle persone).
Si dovrebbe infatti iniziare a coinvolgere tutti gli aspetti della vita a 360 gradi (salute, istruzione, trasporti, produzione beni di necessità, etc).
A partire anche da questi esempi, nella definizione di strumenti/modalità/percorsi di scambio/distribuzione dei prodotti (come per esempio FM), possibili anche su vari livelli territoriali, diventa centrale definire quale è il luogo della decisione e come mantenere la dimensione collettiva delle decisioni. Inoltre avere chiaro il progetto politico, il fine che si vuole raggiungere (come fuoriuscire dal capitale), quale comunità vogliamo costruire, avviando percorsi il più possibile trasparenti, condivisi e accessibili.
Diversi interventi hanno ribadito l’importanza che progetti di portata “nazionale” siano espressione di una realtà di coordinamento di nodi locali. Qualora si decidesse di adottare il progetto FM non più come parallelo ma interno al percorso GC (proposta avanzata al tavolo ed assolutamente auspicabile) si è sostanzialmente richiesto di reimmaginare e reimpostare i rapporti (potenziando e responsabilizzando i nodi locali) in modo da rispecchiare l’immagine di “federazione di ecoreti” condivisa da molti ed a cui varie realtà stanno già lavorando, smaterializzando la regia di Fuorimercato (cit. dalla plenaria) in favore di un progetto d’insieme realmente condiviso che abbia la funzione politica oltre che di sostegno a lotte affini anche di attivatore di strutture nei territori e non soltanto di servizio. (coerenza mezzi/fini, assemblee bioregionali etc…).
PUNTI DI DIFFICOLTA’
- ¬ L’inserimento di una “fabbrica” all’interno di una rete fatta di piccoli produttori, principalmente di prodotti alimentari, o comunque di piccole autoproduzioni artigianali. Difficile immaginarsi un “ruolo” a sostegno della rete di GC. Portando l’esempio della fabbrica greca VIO.ME. che produce saponi, ad esempio, invece di fare saponi – che si possono fare artigianalmente- la fabbrica potrebbe creare premiscelati per bioedilizia alla portata di tutti che nelle nostre reti non si trovano.
- ¬ Non univoca definizione dei concetti di “rete” e “comunità”. Alcuni (gruppo Marche) le intendono come riferite ad un territorio (geografico), altri riferito ad “affinità” di intenti (si parla quindi di Km Zero politico). In entrambi i casi i confini sono sfumati e non definiti (quale è il territorio di riferimento? Chi e come si decidono le affinità?).
- ¬ Difficoltà nel definire sistemi di inclusione di nuove realtà diverse dalla garanzia partecipata. Su cosa si basa la fiducia/affidabilità dei nodi di una rete?
- ¬ Immaginare uno scambio di prodotti su una rete allargata (nazionale) senza impattare sull’ambiente e senza andare con l’immaginario alle catene di distribuzione (diverso è per lo scambio di conoscenza e di saperi e di tempo – banca delle ore).
- ¬ Una non chiarezza (per molti) di tutto il progetto di FuoriMercato, dovuta anche a una difficoltà di comunicazione interna e ad alcuni errori (o considerati tali da alcuni) nel metodo di condivisione del percorso.
PUNTI DI CONVERGENZA
- – Resta centrale l’obiettivo del rafforzamento delle reti territoriali, lo sviluppo di filiere produttive a livello locale, la costruzione di relazioni economiche e di scambio a livello territoriale come base per la costruzione di comunità.
- – L’obiettivo non è creare un paniere nazionale, la distribuzione dei prodotti deve restare a livello di filiere locali.
- – La garanzia partecipata come uno strumento per garantire il diretto rapporto/conoscenza tra produttori e consumatori.
- – A questo si aggiunge (e non si sostituisce) il mutuo aiuto (azione “politica”) e il supporto a percorsi di transizione finalizzati alla costruzione di reti locali.
- – In questo senso Fuori Mercato può essere uno degli strumenti, assieme ad altri strumenti che meglio rispondono alle esigenze di realtà diverse (ad es in Sardegna è più urgente creare spacci interni al territorio che distribuire prodotti fuori). Un percorso parallelo a Genuino clandestino che risponde ai bisogni espressi da alcune reti nell’ambito di obiettivi comuni condivisi.
PUNTI DI DIVERGENZA (tra alcuni)
Creazione di (auto)reddito e lavoro (senza auto-sfruttamento) come finalità del nostro agire (perché, secondo alcuni, non è detto che il lavoro sia centrale nella vita delle persone).
PUNTI RIMASTI SOSPESI
La costruzione di relazioni economiche “strutturate” (ad esempio un sistema di logistica per la distribuzione delle merci in territori lontani), si mette in gioco la vita delle persone che vi lavorano, con conseguente necessità di tutela e autotutela delle stesse. Questo porta il rischio di doverlo tenere in piedi per non fare mancare questo reddito creato, anche una volta superata la necessità contingente espressa da alcune realtà locali di un sostegno economico immediato attraverso la distribuzione delle merci.
E’ molto importante chiarire cosa è “strumento” (che risponde ad un bisogno, e quindi da adattare alle varie realtà) e cosa è “fine”.
Definire quindi meglio i contorni di quale comunità si vuole costruire e cosa si intende per autodeterminazione (solo alimentare? O integrata a tutti gli aspetti della vita, quindi anche educazione, salute, abitazione, comunicazione, mobilità, etc?).
Da qui la questione da riproporre all’assemblea su “dove vuole andare GC”.